Gli immigrati clandestini possono sposarsi in Italia

Una decisione importante della Corte costituzionale italiana (n.245 del 20 luglio 2011) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116 del codice civile, che prevedeva che gli stranieri che avessero voluto sposarsi in Italia avrebbero dovuto avere un permesso di soggiorno, impedendo di fatto i matrimoni fra i cittadini italiano e gli immigrati clandestini.

L’articolo 116 del codice civile

Il divieto di matrimonio per gli stranieri che risiedono nel paese illegalmente era stato introdotto dalla legge 94 del 15 luglio 2009. Prima di questa riforma, l’articolo 116 richiedeva solo un certificato di omologazione rilasciato dal consolato attestante che lo straniero non era sposato. Con l’introduzione della norma del 2009 non era più sufficiente il semplice “nulla osta al matrimonio”: allo straniero che non presentava un permesso di soggiorno valido era impedito il matrimonio con un cittadino italiano.

La questione è stata sollevata dal Tribunale di Catania, per sottolineare che il matrimonio è un’espressione di libertà e di autonomia della persona e, di conseguenza, il diritto di sposarsi è l’oggetto principale della tutela prevista dagli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione italiana dal momento che rientra nella categoria dei diritti umani fondamentali.

Il Tribunale di Catania osserva inoltre che questo diritto mira a proteggere la piena espressione della persona umana e, come tale, deve essere garantito a tutti su un piano di uguaglianza e come aspetto essenziale della dignità umana, senza discriminazione alcuna. Inoltre, l’articolo 31 della Costituzione italiana, afferma che la Repubblica promuove  la “formazione della famiglia”, ed esclude la legittimità di restrizioni alla libertà di sposarsi.

Il diritto di sposarsi è un diritto fondamentale

Il diritto di sposarsi è un diritto umano fondamentale riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (articolo 16), dalla Convenzione per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (articolo 12) e dalla Carta dei Diritti Fondamentali (articolo 9).

La risposta della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, per affrontare il problema, dice che il legislatore italiano può certamente stabilire norme che non siano, ovviamente, irrazionali o in conflitto con il diritto internazionale, per regolamentare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri provenienti dal di fuori dell’UE in Italia. Queste regole, tuttavia, devono essere il risultato di un equilibrio ragionevole e proporzionale tra i diversi interessi protetti dalla Costituzione e le scelte legislative in materia di immigrazione, specialmente quando possono interferire con i diritti fondamentali, tra cui la facoltà di sposarsi.

Poiché si tratta di un diritto fondamentale e inviolabile, spetta al singolo individuo come essere umano, non potendo essere in alcun modo limitato dal fatto di essere o non straniero, e ancor meno dall’essere o meno in regola con il permesso di soggiorno.

Il contrasto che lo stato esercita sull’immigrazione clandestina è legittimo, ma deve essere regolato e attuato garantendo l’equilibrio degli interessi dello Stato e degli individui, vale a dire, senza creare sproporzione eccessiva che limiti l’esercizio dei diritti fondamentali.

La volontà dello Stato, attraverso l’introduzione della disposizione impugnata della Corte costituzionale, era quella di contrastare i matrimoni di comodo, quei matrimoni che si celebrano con il solo scopo (a volte anche a pagamento) di ottenere un permesso di soggiorno per un straniero. A parere della Corte, tuttavia, “la previsione di un impedimento generale al matrimonio, nel caso in cui uno dei coniugi sia straniero irregolare, non è un idoneo strumento per garantire un ragionevole equilibrio e la proporzione dei vari interessi in gioco” . Inoltre, la legislazione vigente prevede già alcune leggi specifiche per combattere i matrimoni di convenienza, come l’articolo 30, comma 1 bis del D. Lgs. n. 286, 1998.

La dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 116 del codice civile, che prevede la residenza legale come condizione per il matrimonio dello straniero, ripristina il diritto fondamentale alla formazione di una famiglia.

Le condizioni per il matrimonio

Rimangono per lo straniero, come condizione per il matrimonio, la presentazione del certificato di nulla osta rilasciato dall’autorità competente del proprio paese, in termini conformi con i requisiti della legge italiana in materia di facoltà a contrarre matrimonio (vale a dire, non essere sposati, avere l’età minima) e l’assenza di impedimenti per situazioni personali (ad esempio, impedimenti per affinità parentali).

Adeguandosi alla decisione della Corte Costituzionale, il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare (n. 21 26 luglio) informando a tutte le istituzioni sui cambiamenti della legislazione.