Buona affermazione per il PT di Lula alle amministrative

È andata bene al presidente Lula la tornata elettorale delle amministrative, tenutasi l’altro ieri. Secondo i dati dei risultati diffusi nella notte dai principali mezzi di informazione brasiliani, il Partito dei lavoratori (Pt) ha conquistato ben sei delle 15 capitali statali dove l’elezione del sindaco si è decisa al primo turno. Il Pt ha vinto a Vitoria, Rio Branco, Porto Velho, Fortaleza, Palmas e Recife.

Positivo per il governo federale è stato anche il risultato di Rio de Janeiro, dove al ballottaggio del 26 ottobre si sfideranno Eduardo Paes e Fernando Gabeira, entrambi dirigenti di formazioni politiche alleate del Partito dei lavoratori. Una mezza vittoria anche questa, dunque. Alla consultazione erano chiamati circa 129 milioni di brasiliani per eleggere i sindaci e i consiglieri comunali di 5.564 municipi.

Solo a San Paolo, la più grande città del paese, è arrivata una sconfitta, con la candidata governativa Marta Suplicy superata di un punto percentuale dal conservatore Gilberto Kassab, il sindaco uscente, così da rendere difficile una vittoria nel secondo turno, dovendo fare i conti con un blocco di alleanze difficile da battere. Un risultato che in realtà ha sconfessato tutti i pronostici e i sondaggi pubblicati nel corso della campagna elettorale: Kassab, esponente del Partido democrata (Dem) all’opposizione nel paese ha raccolto il 33,6% dei consensi, mentre Suplicy, benchè accreditata di un forte margine di vantaggio sul sindaco uscente, si è fermata al 32,7%.

Ma se Kassab non dovesse confermarsi alla guida di San Paolo (ad oggi sembra improbabile), il Dem scomparirebbe invece dalla cartina delle grandi amministrazioni locali rimanendo senza poltrone e sconfitto in tutte le competizioni elettorali in cui si è presentato. Complessivamente saranno undici i capoluoghi che andranno al secondo turno, mentre il Partido do Movimento Democratico Brasileiro (Pmdb), formazione ora integrata alla maggioranza di governo, ne ha già guadagnati due (confermando la percentuale dello scorso turno). Anche al Partido da Social Democracia Brasileira (Psdb), all’opposizione, sono andati due capoluoghi (contro i cinque totali ottenuti nel 2004).

Ma resta il fatto che, forte della crescita economica sostenuta e del generalizzato aumento dei salari degli ultimi anni, e in crescita, almeno nella percezione popolare, Lula incassa un buon viatico soprattutto in vista del voto presidenziale del 2010: la Costituzione vieta a Lula, dato dagli ultimi sondaggi all’80% della popolarità, di candidarsi per un terzo mandato consecutivo, ma lui non ha mai nascosto di voler provare a forzarla. In ogni caso, le amministrative rafforzano il suo ruolo e rilanciano il partito. E forse gli danno anche più voce in capitolo sullo scacchiere internazionale.

Nei giorni scorsi, il presidente era intervenuto sul dibattito circa la crisi finanziaria, bocciando il piano Paulson da 700 miliardi di dollari a sostegno del sistema finanziario approvato dal Congresso statunitense, che secondo Lula aiuta le banche e non i poveri. Il leader brasiliano aveva poi sottolineato come siano gli Stati Uniti ad avere la maggiore responsabilità in una crisi dalle ripercussioni globali. “Non è colpa mia se hanno ridotto la loro economia a un gioco d’azzardo”, aveva aggiunto.

Novità anche per quanto riguarda i rapporti con gli altri leader latinoamericani. Un incontro bilaterale previsto da tempo per firmare una serie di accordi col leader venezuelano Chavez (a Manaus, il più importante centro urbano dell’Amazzonia brasiliana) si è allargato trasformandosi in un “mini vertice” latinoamericano, al quale hanno preso parte anche il presidente boliviano Evo Morales e quello ecuadoriano Rafael Correa.

Anche qui, dopo le firme dei patti in ambito agricolo e alimentare, petrolifero e industriale tra Lula e Chavez, il tema dominante è stato la crisi finanziaria e soprattutto gli effetti sugli altri paesi. I leader si sono trovati d’accordo sulla possibilità di un G8 straordinario per risolvere le questioni. Ma Lula ha poi moderato i toni, che invece aveva in un primo momento avuto nei confronti di Washington, sostendendo che i paesi in via di sviluppo non dovevano essere vittime del “casinò finanziario” creato dagli Usa, ma confessando di “tifare” per gli Stati Uniti e per il loro rilancio. “Anche noi siamo a rischio, perché una recessione mondiale potrebbe pregiudicarci, anche se il nostro sistema finanziario è solido” ha detto.

Più arditi e diretti i commenti di Chavez e Morales. Per il venezuelano modello economico statunitense è un “malato terminale”, per colpa del neoliberalismo, e le conseguenze della crisi investiranno inevitabilmente tutti gli altri paesi perché si tratta di un crack “peggiore di quello del 1929”.

Mentre il leader di La Paz ha sostenuto che “gli Stati Uniti vogliono nazionalizzare il debito dei ricchi”. I quattro sono decisi a “premere” sul Banco del Sur, un organismo finanziario che sleghi il Sud America dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario, sulla carta nato dal 2004, ma per un problema tecnico, burocratico non ancora in grado di ricevere depositi internazionali e investimenti da parte dei paesi latinoamericani che ne fanno parte, a fronte di un capitale iniziale autorizzato di 20.000 milioni di dollari.

Warã – Associazione culturale italo-brasiliana – Torino, Italia