Lula: Il Brasile è stato l’ultimo ad entrare in crisi e sarà il primo a venirne fuori

Dopo aver conquistato un posto di rilievo nel club delle potenze mondiali, il Brasile di Lula sta subendo con ritardo, ma non con minore forza, l’impatto del crollo finanziario globale. Gli indicatori economici sono i peggiori dell’ultimo decennio e la disoccupazione avanza. Eppure il gigante sudamericano ha un ruolo cruciale perché la crisi prenda una nuova strada. “Il Brasile è stato l’ultimo ad entrare in crisi e sarà il primo a venirne fuori”. Con questa previsione ottimistica il presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva ha dipinto la situazione del proprio paese in occasione dell’incontro con il neo presidente degli Usa, Barack Obama. Terzo capo di stato ad essere invitato alla Casa Bianca dopo l’insediamento di Obama, alla guida del paese con l’economia più florida di tutto il Sud America, Lula ha insistito sulla capacità del Brasile di uscire al più presto da una crisi che, dopo una irrefrenabile crescita nel 2008, ha provocato, da dicembre a marzo, la perdita di mezzo milione di posti di lavoro, con punte di disoccupazione dell’8,2%.

A contrastare le fiduciose dichiarazioni del presidente brasiliano si sommano anche le analisi fornite dalla Federazione degli industriali di San Paolo, secondo cui il Brasile è il secondo paese più colpito dalla crisi, mentre l’Istituto di geografia e statistica brasiliano (IBGE) evidenzia che gli ultimi indicatori economici sono i peggiori da dieci anni a questa parte: da ottobre a dicembre l’economia ha registrato una caduta del 3,6% nel PIL.

Già nel settembre 2008, comunque, tirava aria di crisi: le banche e le compagnie brasiliane non hanno più potuto prendere soldi in prestito all’estero e, di conseguenza, il credito domestico è scomparso, con quel poco ancora disponibile a prezzi proibitivi. Il mercato interno da solo non fa sopravvivere l’economia, e le esportazioni, com’era prevedibile, sono crollate, essendo entrati in crisi non solo i più grandi mercati esteri per il paese, cioè gli Usa e l’Unione Europea, ma essendosi ridotta anche la crescita della Cina, altro significativo importatore dei prodotti brasiliani.

Al G20 di Londra di inizio aprile, sono state le economie emergenti di Asia e America Latina, Brasile in testa, le vere protagoniste che, oltre alla ricerca di soluzioni immediate per uscire dalla crisi, tentano di scardinare alcuni dei limiti imposti dal sistema neoliberista che ha garantito la loro crescita negli ultimi anni, ma ne ha anche frenato le possibilità di crescita ulteriori. Il presidente brasiliano, in particolar modo, ha fatto valere la propria voce chiedendo per sé un peso maggiore ai tavoli del Fondo Monetario Internazionale e nelle decisioni di finanziamento lì intraprese. Lula sa bene che, oltre alla lotta comune al protezionismo, ci sono divergenze fra economie “commodities oriented” e quelle più incentrate sull’esportazione di manufatti; lo scopo quindi è quello di consolidare l’imprescindibilità del Brasile ai vertici economici mondiali e di sfruttare tale ruolo per ottenere un peso economico e politico sempre maggiore. Il diritto di voto brasiliano verrebbe corrisposto, nelle intenzioni, anche da una maggiore responsabilità nel finanziare il Fondo Monetario stesso. (Maria Rosaria Santoni – confronto.it)